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  • Immagine del redattoreMauro Gioielli, Pino Manocchio, Luciano Cristicini

I simboli iconici e i significati antropologici del venerdì santo a Isernia

Aggiornamento: 21 apr

La processione degli incappucciati - Il dolore celebrato e la morte obliterata

 

Testo di Mauro Gioielli

Foto di Pino Manocchio e Luciano Cristicini



«Rappresentare la morte per superare la morte». È questa, in sintesi, la ragione religiosa verso cui tende il dramma sacro del venerdì santo, che trova compimento nel cordoglio collettivo ‘messo in scena’ attraverso la processione del Cristo morto. Il prologo liturgico di tale dramma rievocativo sta nei Sepolcri, il suo epilogo risolutore nella Resurrezione.



I giorni del lieto dolore. I giorni della settimana santa sono i giorni del lieto dolore, i giorni durante i quali la morte trionfata conduce alla scoperta della vita ritrovata. Il dies focale di questo percorso è il Venerdì, il dies del passaggio dal lutto alla gioia, dall’angoscia alla liberazione. In tale giorno si celebra il più commovente e inquietante rito del cattolicesimo: la processione del Cristo morto. È il rituale commemorativo del sacrificio dell’Agnus Dei, in cui si perpetua l’antico schema naturalistico della morte e della rinascita. Il dramma che si rappresenta è un dramma mobile, si muove in un territorio urbano che diviene spazio sacro. Un’intensa vibrazione psicologica e una profonda commozione avvolgono i processionanti e coloro che assistono al passaggio del corteo, esaltando il legame sociale del gruppo che, in tal modo, avverte il potenziamento della propria unione religiosa. Poi giunge il sabato santo, momento di riflessione su ciò che s’è perso, momento di congiunzione verso il ritrovamento. Infine, appare l’alba della Pasqua: la morte ha visto sempre più sbiancare la propria ombra, e oltre quell’ombra c’è una nuova luce.



La morte obliterata. Nel giorno del venerdì santo, la mistica e devastante irruzione del dramma sacro che raffigura la cristiana mortem domini riconduce l’individuo al senso concreto della humanae vitae, laddove il lutto è interruzione e la vita continuità. La morte, pertanto, deve essere ad ogni costo obliterata. Non a caso, infatti, nei riti della Passione, la celebrazione della morte innesca un’immediata replica positiva, una opposizione etnica al dolore del morire che intende restituire alla comunità la letizia del vivere. In tal senso, il venerdì santo è il dies amaritudinis ma anche il dies della futura serenità. È la data in cui il cordoglio e il conforto, la paura e il riscatto trovano unità esplicativa. È il giorno dell’incurabile malattia che, miracolosamente, rintraccia la strada che conduce all’insperata guarigione. In questa data, dunque, l’energia vitale trova ragione nel suo opposto, perché è certo che maggiormente si apprezza la Vita, con quanto di buono e giusto essa contiene, nel momento in cui si guarda la Morte e si riesce a leggere tutto il dolore che procura e rappresenta.


in basso: immagini degli anni '80 (archivio fotografico Luciano Cristicini)


tutte le immagini che seguono sono tratte dall'archivio fotografico di Pino Manocchio


Le icone. Gli elementi iconici della processione del venerdì santo a Isernia sono le statue del Cristo morto e della Mater dolorosa, sono i busti degli Ecce Homo e le croci della salita al Calvario, sono le croci del Sudario e le croci con gli strumenti della Passione.


Cristo Morto – Il simulacro mostra Gesù privo di vita, con sanguinanti ferite mortali. Il corpo è collocato su un giaciglio che, il giorno della processione, alcune donne adornano di fiori.



Mater dolorosa – La statua della Madonna è vestita di nero, col manto stellato e il cuore trafitto da sette pugnali che rappresentano i suoi sette dolori: la profezia di Simeone; la fuga in Egitto; Gesù smarritosi nel tempio; la Madre incontra il Figlio lungo la via del Calvario; la Madonna ai piedi della croce; la deposizione con la Vergine che accoglie fra le braccia il Cristo morto; Maria presso il sepolcro.



Ecce Homo I busti degli Ecce Homo portati in processione a Isernia sono tre e raffigurano Cristo dopo la flagellazione (Gv 19, 5). Il governatore romano, che reputava Gesù innocente, per placare i Giudei che lo volevano giustiziare, pensò di accontentarli facendolo flagellare; poi, pronunciò la nota esclamazione: «Ecce Homo!», a voler significare: «Ecco l’uomo! Vedete che l’ho punito». Un attributo fondamentale della raffigurazione dell’Ecce Homo è il fusto di canna posto fra le mani legate di Cristo. L’oggetto simboleggia l’arundo consegnata al flagellato dai suoi aguzzini, quale scettro derisorio. In più opere dell’arte figurativa, i flagellatori usano delle canne per conficcare sulla testa di Gesù la corona di spine.



Le Croci La croce della crocifissione di Cristo è di tipo latino, composta di due segmenti ortogonali, di diversa misura (il più lungo è quello perpendicolare). Il segmento minore s’interseca all’incirca a tre quarti del maggiore, dividendosi in braccia uguali. A Isernia, sono dette Croci Calvario quelle che vengono trasportate a spalla dagli incappucciati. Intendono riprodurre la croce che Gesù portò sul Golgota. Quella denominata Sudario, invece, è una croce sul cui segmento orizzontale viene collocato, quasi a mo’ di drappo-insegna, un panno bianco. Il panno vuole richiamare il sudario sepolcrale di Cristo e l’episodio narrato nel Vangelo di Giovanni (Gv 20, 1-8). Le Croci della Passione, infine, si contraddistinguono per la presenza degli oggetti del martirio di Gesù: la lancia che penetrò nel suo costato, il martello e la tenaglia usati per conficcare e togliere i chiodi da mani e piedi, la colonna della flagellazione, eccetera; c’è anche il gallo che ricorda l’episodio di Pietro che rinnegò il suo Maestro.



Le confraternite - Le confraternite che hanno un ruolo storicamente consolidato e definito durante la processione del venerdì santo di Isernia sono: Sant’Antonio di Padova, Santa Maria del Suffragio (altrimenti detta, anticamente, del Purgatorio), Santissimo Sacramento (a volte denominata Corpo di Cristo) e Santissimo Rosario (meglio conosciuta come San Domenico). Tali sodalizi laicali si distinguono per il colore delle mozzette: marrone per Sant’Antonio, celeste per il Suffragio, rosso per il Sacramento e nero per il Rosario. Le mozzette mostrano sul davanti gli stemmi di riferimento cultuale. Quella marrone: il santo portoghese col Bambinello in braccio e il giglio in mano. Quella celeste: le anime del purgatorio tra le fiamme, che aspirano a salire in paradiso dalla Madonna. Quella rossa: l’ostensorio col Corpo di Cristo, ai cui lati due confratelli pregano in ginocchio. Quella nera: la Vergine del Rosario, secondo l’iconografia della sua apparizione a San Domenico.

Dagli anni novanta dello scorso secolo, sfilano in processione anche gli appartenenti alla confraternita ‘La Fraterna’. Sulle spalle non indossano mozzetta ma un manto «color turchese semplice e lungo». All’interno del corteo processionale, questi confratelli hanno un ruolo diverso da quello delle altre quattro confraternite. Qualche anno fa, è stata riproposta anche l’arciconfraternita di San Nicandro e di San Pietro Celestino, che aveva cessato ogni effettiva esistenza.

Un elenco di congregazioni è incluso nella monografia intitolata Isernia, scritta nel 1858 da Stefano Jadopi: «S. Antonio da Padova, nella Chiesa S. Francesco dei già Conventuali, come il Vadingo negli Annali di detta religione: Adiunctum huic Ecclesiae anno 1450 Sacellum Divi Antonii adeo templum, ut inte­grae Ecclesiae adeguatae mensurum et numerosae, serviat Iserniensium sodalitati. [...] Il SS. Rosario fu istituito nel 1600 accosto la Chiesa di S. Croce dei già P.P. Domenicani, fusa nell’antica Frateria dei Battenti [...]. S. Maria del Suffragio, o Purgatorio, eretta nell’antica Chiesa di S. Ele­na [...] con bolla del Vescovo Terzi 20 Ottobre 1712. Sette Dolori, nella Cattedrale, con bolla del Vescovo de Leone dei 29 Gennaio 1723; ne rimane semplice memoria. SS.mo Sacramento, attualmente per decreto del 1° Ottobre 1840 nell’an­tica Sacristia e Chiesa S. Chiara. S. Nicandro Martire e Celestino Pontefice, per decreto 3 Gennaio 1838, in quella sopraccennata [chiesa] di S. Francesco e nell’altra di S. Pier Celestino».



Gli incappucciati - A Isernia, il Venerdì Santo è il giorno degli Incappucciati, che indossano una tunica bianca con un cappuccio dello stesso colore e un cordone rosso alla cintola. Molti di loro, sul cappuccio poggiano una corona vegetale fatta di ramoscelli primaverili, che vuole simboleggiare la corona di spine di Cristo; infatti gli Incappucciati più tradizionalisti preferiscono utilizzare arbusti spinosi di rovo.

Fino al 1989, i portatori delle statue dell’Addolorata e di Gesù morto non indossavano il cappuccio, che era riservato ai soli portatori delle croci e dei busti degli Ecce Homo. Il cappuccio è di tipo floscio, con la punta che ricade all’indietro, a differenza di quello “armato” (cioè rigido e a forma di alto cono, come ad esempio il capirote spagnolo). Tale copricapo e coprivolto ha un valore catartico per chi lo utilizza. Gli Incappucciati, infatti, partecipano al rito principalmente per scopi di purificazione da raggiungere attraverso forme penitenziali, come sopportare per lungo tempo il peso d’una croce o d’una statua, camminare a piedi scalzi, recitare preghiere e altro ancora. Cercano l’espiazione dei peccati, vogliono mondare l’anima da ogni colpa. Secondo molte testimonianze raccolte, però, chiedono anche grazie e, in cambio, fanno voto e si impegnano, ad esempio, a sfilare in processione per gli anni futuri. Gli Incappucciati per dare maggiore valore a tutto ciò celano la propria identità. Non intendono, cioè, ostentare la presenza nel corteo processionale ma la nascondono per assecondare, senza esibirle, una mistica ricerca della dimensione del sacro e un’intima contemplazione della sofferenza (la morte di Cristo e il lutto dell’Addolorata). Negli ultimi decenni, indossare il cappuccio ha consentito anche alle donne di essere protagoniste del venerdì santo a Isernia, eliminando una prerogativa che in origine era riservata ai soli uomini. Oltre a far superare le distinzioni di sesso, l’anonimato contribuisce anche a coprire le disuguaglianze di classe e, in tal senso, risulta funzionale a una migliore armonia sociale.



Il percorso - Da alcuni decenni, la processione del venerdì santo di Isernia, con partenza dalla chiesa di Santa Chiara poco dopo le ore 20, si dispiega secondo due itinerari prestabiliti, uno utilizzato negli anni pari e l’altro in quelli dispari.

Negli anni pari, il corteo religioso percorre corso Marcelli, piazza Celestino V, piazza Carducci, via d’Apollonio, via Kennedy, via Sturzo, via De Gasperi, corso Garibaldi, via Petrarca, via XXIV Maggio, via Enrico d’Isernia, piazza Tedeschi, via Ponzio, via Lorusso, piazza Carducci, piazza Celestino V, via Marcelli, via Occidentale, via d’Apollonio, rampa Purgatorio e via Marcelli, per terminare con il rientro delle statue nella chiesa di Santa Chiara.

Negli anni dispari, il percorso è in parte diverso: via Marcelli, piazza Celestino V, piazza Carducci, via d’Apollonio, via Kennedy, via Giovanni XXIII, via Formichelli, via Ciampitti, via Sicilia, via Molise, piazza D’Uva, via Umbria, Corso Risorgimento, via Ponzio, via Lorusso, piazza Carducci, piazza Celestino V, via Marcelli, via d’Apollonio, rampa Purgatorio, via Marcelli, chiesa di Santa Chiara.

 

Redattori:

Mauro Gioielli, giornalista, scrittore, demologo;

Pino Manocchio, fotogiornalista;

Luciano Cristicini, fotografo e conservatore dell'Archivio Cristicini, dichiarato "di interesse storico" dal Ministero della Cultura.


Tutti gli autori sono impegnati in diverse attività di divulgazione e promozione del territorio molisano in genere e della provincia di Isernia in particolare.


Testo e foto ©




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